Dice Luca Zingaretti: «La casa degli sguardi è il mio primo film come attore e regista. È un film che parla del dolore. Non in termini negativi, ma come ingrediente necessario per la felicità, perché dolore e gioia sono fatti della stessa materia. La casa degli sguardi è un film sulla poesia, sulla bellezza e sulla loro capacità salvifica. Un film che parla di genitori e figli e della capacità di stare, come atto di amore più puro. È un film sull’amore e l’amicizia, che possono farti ritrovare la strada di casa. È un film sul lavoro, che radica e identifica, e sulle persone che lo nobilitano. Un film sulla vita, dove c’è sempre un motivo per resistere, sulla speranza e sulla capacità dell’uomo di risorgere. Il mio film è una casa di tanti sguardi che ho visto, sostenuto, evitato, adorato, temuto, sperato».
Dopo la presentazione alla Festa del Cinema di Roma, è nei cinema La casa degli sguardi, primo film di Luca Zingaretti da regista e autore. Un film intenso e toccante, liberamente ispirato all'omonimo libro di Daniele Mencarelli, su un ventenne che trova nell'alcol una fuga dal dolore. Un ragazzo che si lascia vivere, sopravvive a stento, allontanando tutti, con suo padre, lo stesso Zingaretti, che quasi si mette da parte, c'è, ma lo osserva impotente.
Per Luca Zingaretti c'è un grande messaggio di speranza in questo film: «È una storia che parla di quella straordinaria capacità che abbiamo noi esseri umani, tutti gli esseri umani, di rialzarci dalle bastonate che la vita ci dà. Noi siamo lì piegati in due magari dalle difficoltà e a un certo punto vediamo in lontananza nel buio una luce e capiamo che lì è l'uscita dal tunnel, ci siamo quasi, quindi raccogliamo le nostre forze e intraprendiamo questo cammino».
Il protagonista Marco (Gianmarco Franchini) ha una sensibilità particolare, scrive poesie e inizia a ritrovarsi quando va a lavorare nella cooperativa di pulizie dell'ospedale Bambin Gesù, grazie a nuovi incontri e a un'esperienza che gli farà riscoprire la bellezza nella vita.
Dice Gianmarco Franchini, 24 anni e già visto in Adagio di Stefano Sollima: «É un ragazzo normale, il dolore lo distrugge, ma come dice anche Mencarelli è una persona che ha la pelle talmente sensibile che basta un fiore a bucargliela, però allo stesso tempo ha anche l'opposto. È proprio questa unione degli opposti, questo chiaro-oscuro, questo bianco e nero che poi fanno una persona».
«Il nostro protagonista tornerà a vivere in maniera più o meno serena quando capirà che il dolore non è una cosa che si può evitare, perché fa parte della vita. Piuttosto è una cosa che a volte bisogna accogliere, bisogna saper stare nel dolore per poter rinascere dalle proprie ceneri», ha aggiunto Zingaretti.
La sua prima regia l'ha definita un'esperienza meravigliosa: «Io ho provato una sensazione di pienezza che raramente ho provato facendo il mio mestiere».