«Ci si uccide soltanto per esistere», ha scritto André Malraux e la definizione si adatta perfettamente ai detenuti, che sono fantasmi, corpi nascosti alla vista della società, presenze rimosse che reclamano di essere vive e ottengono solo silenzio, porte chiuse, attesa, umiliazione. Persone che vivono ancora, ma non esistono. Ci si uccide per disperazione, che è mancanza di speranza. E che speranza possono avere un uomo o una donna che devono trascorrere anni in uno spazio di due o tre metri, spesso senza fare nulla, condannati a tagliare i rapporti con il mondo esterno, carnefici di qualcuno e vittime di un sistema che si limita ad accatastare corpi, materiale di scarto di una società che, una volta usciti, li tratterà da criminali? Marchiati con uno stigma che renderà difficile trovare lavoro e ricominciare una vita fuori. La storia di HamidHamid Badoui aveva 42 anni. Era di nazionalità marocchina e viveva da dieci anni in Italia. Irregolare, il 9 aprile viene portato in un Cpr, i centri di permanenza per il rimpatrio. Prima a Bari, poi in Albania, dopo la modifica che ha reso possibile trasferire i migranti in territorio extra Ue. Lo trasferiscono, racconta, con i polsi legati con fascette di plastica, anche se non è detenuto per nessun reato. Detenzione amministrativa, la chiamano. Il 13 maggio viene liberato, su richiesta di un magistrato, e torna a Torino. Qui litiga con alcuni connazionali, in una tabaccheria, accusandoli di averlo truffato con una scheda sim. Gli agenti arrivati sul posto non gli credono, lui dà un calcio alla volante e viene arrestato per resistenza, oltraggio e lesioni, nonostante una piccola folla, come testimonia un video, chieda ai poliziotti di lasciarlo libero. Hamid aveva paura di dover tornare in Albania. Il 19 maggio ci sarebbe stata l'udienza e sarebbe stato probabilmente liberato, vista l'entità lieve del reato contestato. Al suo avvocato racconta: «Non voglio tornare in Albania, è meglio il carcere del Cpr di Gajder». Quello stesso giorno, Hamid si toglie i lacci delle scarpe e si impicca.Togliersi la vita in carcere Ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio che quello dei suicidi in carcere «è un fenomeno che esiste, come la malattia, ed è ineliminabile». Affermazione teoricamente corretta, perché i suicidi sono un fenomeno ineliminabile anche nel mondo esterno, ma profondamente sbagliata perché dentro le carceri si muore molto di più ed è proprio la detenzione - in luoghi malsani e sovraffollati e in condizioni di degrado e di abbandono - a creare le condizioni perché sempre più persone decidano di togliersi la vita. Ad aggravare il fenomeno, la circostanza che siano vite affidate allo Stato, che le ha in custodia e che dovrebbe preservarle.Il rapporto di Antigone Diamo qualche dato estratto dal nuovissimo rapporto di Antigone (presentato oggi, 29 maggio 2025), benemerita associazione che si occupa di detenuti. Se fermiamo i conti al 25 maggio, il 2025 ha visto 33 suicidi negli istituti penitenziari, con 106 morti complessivi di cui 73 per «altre cause». Il 2024 era stato l’anno record (91 suicidi) e il 2025 rischia di essere peggiore. I dati di Antigone fanno riferimento a quelli di un’altra associazione, Ristretti orizzonte. Quelli ufficiali sono sottodimensionati. Spesso il ministero non calcola chi muore in ospedale qualche giorno dopo aver tentato il suicidio in cella o chi inala gas dalle bombolette per cucinare. Molti suicidi vengono attribuiti a «cause da accertare». In carcere ci si toglie la vita 25 volte in più rispetto alla società esterna. Il tasso di suicidi in Italia è il doppio della media europea. L'età media dei suicidi è di 41 anni. Il 45,2 delle vittime sono stranieri (anche se in percentuale i non italiani nelle galere sono solo il 31,6). Il 40 per cento dei suicidi è composto da persone che erano in custodia cautelare, in attesa del primo giudizio, e quindi tecnicamente innocenti. Dai dati di Antigone, che comprendono il 2024 e il 2025 fino a maggio, 17 delle 124 persone morte soffrivano di patologie psichiatriche e 6 avevano un passato di tossicodipendenza. Almeno 27 di loro avevano già tentato di togliersi la vita. Nessuno, evidentemente, è riuscito a dissuaderli dal riprovarci. Dove avvengono i suicidi?Il sovraffollamento non è una causa diretta, ma crea le condizioni perché peggiorino tutti i parametri di vita all’interno dei penitenziari. I dati dicono che c’è una correlazione tra il tasso dei suicidi e gli istituti più sovraffollati, come Verona, Poggioreale (Napoli) e Regina Coeli (Roma). Impressiona il fatto che il 75 per cento dei suicidi sia avvenuto in sezioni a custodia chiusa (dove, cioè, si sta in cella quasi tutto il giorno, oltre che la notte) e che almeno 20 di questi siano avvenuti in...