Dopo essere stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2024 e aver emozionato la sezione Orizzonti, Tutto l'amore che serve arriva nelle sale italiane dal 19 giugno, distribuita da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection. Una storia intensa e autentica, opera prima della regista Anne-Sophie Bailly, di cui vi proponiamo in anteprima esclusiva una clip.
Si tratta di un momento importante del racconto, quello che mette a confronto le due famiglie protagoniste. E la loro prima reazione è accusarsi a vicenda. Perché la notizia dell'arrivo di un bambino costringe tutti gli altri a riflettere sui legami familiari. Dove si fa strada la consapevolezza che l'amore incondizionato di una madre - la bravissima Laure Calamy - non può che scontrarsi con il naturale bisogno di indipendenza del figlio.
La trama di "Tutto l'amore che serve"
La vita di Mona procede tranquillamente nella piccola cittadina di Créteil e ruota quasi in maniera integrale intorno al figlio Joël (Charles Peccia Galletto), che ha una disabilità cognitiva. Joël lavora in un centro che assiste persone con bisogni speciali e un giorno confessa alla madre di essere innamorato della sua collega Océane (Julie Froger). Anche lei una giovane donna con una forma analoga di disabilità. E che aspettano un bambino.
Per Mona, che non era a conoscenza della relazione tra i due, la notizia della gravidanza è un fulmine a ciel sereno. Questa rivelazione innesca una profonda riflessione nella protagonista, che si trova a confrontarsi con i propri limiti e le proprie paure. Il rapporto quasi simbiotico con il figlio, nutrito negli anni dalla convinzione di essere indispensabile per la sua sopravvivenza, viene messo in discussione dalla crescente autonomia di Joël. La gravidanza di Océane diventa così il catalizzatore di una doppia emancipazione: quella del figlio che rivendica il diritto di costruire la propria famiglia. E quella della madre che deve riscoprire se stessa oltre il ruolo di caregiver.
Laure Calamy, una protagonista straordinaria
Al centro della narrazione troviamo la straordinaria Laure Calamy, già premiata come migliore attrice nella sezione Orizzonti di Venezia 2021 per Full Time – Al cento per cento. Nel ruolo di Mona, Calamy torna a interpretare una combattiva madre single, questa volta alle prese con sfide ancora più complesse.
Il talento di Calamy emerge prepotentemente in ogni sequenza, dove riesce a rendere credibile un personaggio «tormentato, quasi duro, non sempre esattamente simpatico», come lo descrive la stessa regista. La sua interpretazione coraggiosa non teme di mostrare le contraddizioni e le fragilità di una madre che deve imparare a lasciare andare.
Il punto di vista della regista Anne-Sophie Bailly
Anne-Sophie Bailly ha costruito la sua storia partendo da un incontro significativo. «L'idea del film è nata dall'incontro con una donna di 60 anni e sua madre di 80 in una casa di riposo dove mia madre lavorava quando ero più giovane. Avevano sempre vissuto insieme perché la figlia, Yolande, aveva una disabilità intellettiva». Questo episodio ha ispirato la regista a esplorare quella che definisce «un'immagine radicale di un rapporto madre-figlia».
La regista, però, ha voluto evitare ogni forma di voyeurismo o moralismo. «Volevo assolutamente evitare catastrofismo, pessimismo e voyeurismo. Volevo che fosse sensuale e misterioso, che si facesse sentire, dato che la disabilità è il regno dell'eufemismo e del silenzio». Il risultato è un film che tratta temi delicati con una leggerezza che non sminuisce mai la profondità emotiva della storia.
La scelta coraggiosa del cast
Una delle decisioni più significative della regista è stata quella di affidare i ruoli di Joël e Océane a giovani attori realmente disabili. Charles Peccia Galletto e Julie Froger portano sullo schermo un'autenticità impossibile da raggiungere con la semplice recitazione. Come spiega Bailly, «era inconcepibile imitare o recitare la disabilità. Charles e Julie hanno cose in comune con i loro personaggi, ma non sono quei personaggi».
Questa scelta rappresenta anche un atto politico importante nel panorama cinematografico. «Perché sono volti che raramente si vedono nei film, e corpi che raramente vengono mostrati», sottolinea la regista. Il cinema diventa così strumento di visibilità e rappresentazione per una parte della popolazione troppo spesso ignorata.
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