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La battaglia di Annaliese: quando scegliere di morire diventa un atto d’amore

2025-11-20 563 Dailymotion

A 25 anni si dovrebbero pianificare viaggi, carriere o matrimoni. Le amiche di Annaliese Holland fanno esattamente questo: si fidanzano, hanno bambini, vivono. Lei, invece, ha passato l'ultimo decennio a combattere una guerra che il suo corpo non può vincere. E ora, con una serenità che disarma, ha preso la decisione più difficile: ha ottenuto l'approvazione per il suicidio assistito. Non è un atto di disperazione, spiega lei, ma di riappropriazione. Dopo aver trascorso la maggior parte della vita in ospedale, Annaliese ha deciso di dire basta al dolore, definendo questa autorizzazione la sua «coperta di sicurezza».

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La malattia di Annaliese Holland: vivere su un "campo minato"
La storia clinica di Annaliese Holland, originaria di Adelaide (Australia), è un calvario iniziato nell'infanzia. Solo a 18 anni è arrivata la diagnosi corretta: ganglionopatia autonomica autoimmune (AAG). Si tratta di una rara neuropatia autonomica in cui il sistema immunitario attacca i nervi che controllano le funzioni involontarie come il battito cardiaco, la pressione sanguigna e la digestione.

Il risultato è devastante. Annaliese è in insufficienza multiorgano. Da dieci anni è alimentata esclusivamente tramite nutrizione parenterale totale (TPN), ovvero via endovenosa, perché il suo stomaco non si svuota e l'intestino non funziona. «Il mio intestino agisce come se fosse bloccato, ma non c'è nulla a bloccarlo. Semplicemente i nervi non funzionano», ha raccontato la ragazza.

Le conseguenze delle cure sono state brutali: l'osteoporosi le ha fratturato la colonna vertebrale in quattro punti e lo sterno a metà, rischiando di schiacciarle cuore e polmoni. Ha sviluppato necrosi alla mandibola e ha sopravvissuto alla sepsi per ben 25 volte. Vivere così, dice, è come «camminare su un campo minato».

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La scelta del suicidio assistito e l'addio al padre
La decisione di ricorrere al suicidio assistito (legale in Australia per adulti competenti e malati terminali) non è stata immediata, specialmente per la sua famiglia. In un'intervista a News.com.au, Annaliese ha raccontato il momento straziante in cui suo padre Patrick ha dovuto accettare la realtà.

Dopo essere stata rianimata l'ennesima volta in ospedale, Annaliese ha guardato il padre e lo ha implorato: «Papà, ti prego, lasciami andare. Non ti odierò se mi lascerai andare». Il padre, inizialmente contrario all'idea che sua figlia "si arrendesse", ha capito che quella non era resa, ma pietà. «Ogni volta che va in ospedale, combatte per la sua vita», ha raccontato l'uomo in lacrime, ammettendo infine di comprendere la stanchezza della figlia.

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Gli ultimi desideri prima del suicidio assistito: l'abito da sposa
Nonostante l'approvazione medica le abbia tolto un peso enorme dalle spalle – «Sapere che posso andarmene quando sarà il momento giusto è un sollievo enorme», confessa – Annaliese non ha ancora finito di vivere. Prima dell'addio, ha stilato una lista di desideri, una sorta di "F**kit List". Vuole vedere Lady Gaga in concerto con sua madre e sua sorella, vuole trasferirsi per un breve periodo in una casa tutta sua per assaporare l'indipendenza e, sorprendentemente, vuole entrare in un atelier. «Nessun uomo vuole uscire con qualcuno che sta morendo, lo capisco. Ma mi piacerebbe provare un abito da sposa, vedere come ci si sente», ha confidato a News.com.au.



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Oggi Annaliese vive con la consapevolezza che la fine arriverà alle sue condizioni, non imposta dalla fame o dall'ennesima infezione. Per lei, scegliere il suicidio assistito è l'atto finale di coraggio: «Non è arrendersi. È dire che ne hai avuto abbastanza dopo aver combattuto dannatamente duro».